venerdì 7 giugno 2013

L'INFERMIERE E IL SOGNO DELLA PIENA AUTONOMIA PROFESSIONALE

 
Quello sanitario è un settore molto complicato, al cui interno operano più o meno in sintonia, una trentina di diverse figure  professionali (medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici sanitari etc), con un proprio specifico ed autonomo ambito professionale. Il risultato è quindi una sanità plurale nella quale non vi è una centralità esclusiva di una professione ed un ruolo secondario di un’altra, bensì l’interdipendenza funzionale di una dall’altra e viceversa.

Va dato atto al Ministero della Salute ed alle Regioni di aver ben interpretato questo fenomeno attivando il confronto fra le professioni sanitarie interessate, compresa quella medica, dando vita al “Tavolo tecnico per l’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie e per l’introduzione delle specializzazioni”, che ha prodotto una proposta di intesa innovativa, che si fonda sul principio che l’evoluzione scientifica, tecnologica e formativa in atto all’interno della sanità, fa sì che le attuali competenze delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione possano essere arricchite di competenze, anche di quelle che oggi vengono svolte dalle altre professioni sanitarie, in primis quelle mediche, senza che venga meno per quest’ultime la loro titolarità.

L’intesa realizzata sulle professioni sanitarie, può costituire il metodo con il quale possono essere individuate le nuove avanzate competenze attribuibili nello specifico anche alle professioni infermieristiche; metodo che ha come condizione indispensabile la realizzazione, da parte delle professioni interessate, di un’intesa per individuare, concordandole, quali funzioni possano implementare le competenze. Va anche detto però che una scelta così radicale tale da operare un’inversione di tendenza con preesistenti logiche di competenze non può che attuarsi per il tramite del convincimento e della condivisone, tra le professioni interessate.

Le aree di specializzazione individuate per ogni professione, possono essere riempite di contenuti professionali per l’individuazione delle nuove competenze avanzate e specialistiche da attribuire indicando ordinamenti didattici omogenei a livello nazionale per i percorsi formativi universitari post base come i master. Ricordiamo come, in alcuni paesi esteri, esista un numero quasi equivalente di specializzazioni per il medico e per l’infermiere. Questo tipo di accordo avrebbe l’effetto di promuovere le buone pratiche e di favorire in forma omogenea sul territorio nazionale l’innovazione e l’adesione a modelli organizzativi.

E’ evidente che tutto ciò ha come conseguenza una rivisitazione migliorativa anche del ruolo e della professione medica: in questo tipo di organizzazione il medico potrà meglio impiegare il suo tempo di lavoro impegnandolo maggiormente sulla clinica, quindi nell’essenza propria della sua professione.

L’attuazione delle leggi 251/00 e 43/2006

Una così profonda riorganizzazione del lavoro in sanità presuppone la piena attuazione della legge 251/00, ad iniziare dall’ affermazione concreta che le aree di competenza delle professioni sanitarie infermieristiche, di ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione nonché delle funzioni ad esse connesse, sono affidate alla diretta gestione delle professioni stesse anche attraverso l’istituzione di specifici servizi configurati quali unità organizzative autonome dirigenziali sotto la responsabilità di dirigenti espressione diretta di tale professioni, così come previsto anche dal vigente contratto nazionale della dirigenza sanitaria.

Questa giusta scelta del legislatore che ha adeguato la nostra organizzazione sanitaria ai modelli più avanzati degli altri Stati dell’Unione Europea ha, a tredici anni dalla sua approvazione, una realizzazione difforme sul territorio di quasi tutte le regioni, perlopiù diffusa nell’area infermieristica – ostetrica.

Se è vero che ciò è strategico e fondamentale per la difesa ed il rilancio del SSN, l’attuazione completa della legge 251/00 dovrebbe rientrare nelle priorità dell’agenda sanità di ogni formazione politica che si ponga al Governo, e lo stato dovrebbe riappropriarsi del potere che la stessa 251 dava ad esso e cioè l’emanazione di linee guida nazionali, d’intesa con la Conferenza stato regioni, che dettino norme per l’attuazione dei servizi autonomi delle professioni sanitarie e di assistente sociale.

La questione ordinistica nell’attuazione delle riforma delle professioni sanitarie rimane, l’eterna incompiuta nonostante i grandi progressi legislativi effettuati, primo fra tutti la legge 43 del 2006, ovvero la legge delega al governo per la creazione degli ordini professionali per le professioni sanitarie per cui siamo ancora in attesa.

Questa legge eleva, finalmente e tardivamente, i collegi in ordini, dal momento che nell’immaginario collettivo il collegio è per i diplomati, l’ordine è per i laureati. Addirittura, al posto di tanti ordini, più o meno piccoli, si creerebbe una nuova istituzione professionale plurale, con le garanzie interne per ogni professione, in grado non solo di semplificare il quadro ordinistico ma di arricchirlo con un nuovo soggetto che possa realmente essere autorevole e rappresentativo. Si creerebbero inoltre, così come è accaduto nei paesi anglosassoni vari decenni or sono, le facoltà specifiche per le professioni sanitarie, il che contribuirebbe a dare il giusto rilievo alle figure professionali i cui meriti ed affidabilità stanno prendendo sempre maggiore visibilità agli occhi dell’opinione pubblica. A 7 anni di distanza siamo, però ancora in attesa...

Affrontare e risolvere i problemi vecchi e nuovi delle professioni sanitarie costituirebbe, credo, un buon contributo per la risoluzione  della crisi del SSN che, nonostante i limiti e le critiche, rimane la più grande scelta e conquista di civiltà del nostro Stato.

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